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CHIRURGIA UROLOGICA

Prostatectomia radicale
robotica (RALP)

INTERVENTI

Prostatectomia Radicale Robotica (RALP)

Per prostatectomia radicale robotica si intende l’asportazione in blocco di prostata e vescichette seminali a mezzo laparoscopico robot assistito.

Il primo tempo dell’intervento consiste nella creazione dello pneumoperitoneo: la cavità addominale deve essere riempita di anidride carbonica per creare una camera di lavoro per gli strumenti chirurgici robotici.

Una incisione di circa 2 cm a livello sopra-ombelicale consente di posizionare sotto visione diretta e in maniera del tutto atraumatica il primo trocar robotico attraverso il quale si inserisce l’ottica che permetterà al chirurgo di eseguire l’intervento.

Si inseriscono successivamente in cavità peritoneale altri 5 trocar operativi, di cui tipicamente 3 gestiti dal primo operatore e 2 dall’assistente.

Sebbene si tratti di una evenienza estremamente rara, è possibile che a causa di aderenze intestinali numerose e tenaci non si riesca a posizionare i trocar robotici e sia quindi necessario convertire l’intervento in maniera “open”.

La premessa da considerare prima di descrivere l’intervento nei dettagli è che la tecnica robotica consente di operare con un ingrandimento visivo fino a circa 20 volte e con una visione a 3 dimensioni. Questo permette al chirurgo di apprezzare la profondità di campo, cosa non possibile ad esempio con la tecnica laparoscopica classica. La visione intraoperatoria robotica permette di riconoscere anche i più piccoli dettagli anatomici e di eseguire l’intervento con una accuratezza significativamente superiore a quanto sia possibile ottenere con la chirurgia a cielo aperto o con la chirurgia laparoscopica classica.

Il primo tempo operatorio è rappresentato dall’isolamento delle vescicole seminali attraverso una piccola breccia eseguita nel peritoneo parietale che riveste il cavo del Douglas, al di sopra dell’intestino retto. Questo approccio permette una perfetta visualizzazione delle vescicole seminali e, in particolare, dei vasi sanguigni e dei nervi che le avvolgono. Queste ultime strutture vengono conservate e si ha cura di non usare mai energia termica per non danneggiare il ricco plesso nervoso peri-vescicolare dove transitano rami nervosi diretti ai corpi cavernosi del pene e responsabili dell’erezione peniena.

Completato l’isolamento delle vescicole seminali, dalla cavità peritoneale si accede allo spazio pelvico dove è localizzata la prostata.

Nel caso in cui fosse oncologicamente necessario – cioè quando i parametri pre-operatori lo consigliassero – si procede alla rimozione dei linfonodi pelvici (linfoadenectomia), a cui afferisce la linfa prodotta dalla prostata, bilateralmente. I linfonodi sono piccoli organelli che hanno la funzione di filtrare liquidi e proteine provenienti da tutto l’organismo. Quando un organo si ammala di tumore è possibile che alcune cellule tumorali escano dai confini dello stesso e vengano catturate dai linfonodi più vicini. Per questo motivo in alcuni pazienti con tumore della prostata la rimozione dei linfonodi viene eseguita al fine di ottenere una più precisa stadiazione della malattia e anche perché la rimozione di eventuali linfonodi ammalati può avere un effetto curativo. La tecnica robotica permette di eseguire, quando necessario, linfoadenectomie estremamente estese ed accurate e quindi si presta a essere utilizzata con successo anche in pazienti con tumore della prostata avanzato.

La rimozione della prostata avviene per via anterograda, partendo cioè dal collo vescicale che viene separato dalla base della prostata avendo cura di conservare il più possibile l’integrità delle fibre muscolari del collo vescicale stesso che compartecipano al meccanismo della continenza urinaria.

Completata questa manovra, si raggiungono le vescicole seminali precedentemente isolate e si identifica il piano di scollamento prostatico partendo a ore 6.

A seconda delle caratteristiche della malattia (malattia palpabile o meno alla esplorazione rettale, percentuale delle biopsie positive per tumore, aggressività del tumore rilevato nelle biopsie – Gleason score, PSA preoperatorio, risultati della risonanza magnetica) si identifica un piano intrafasciale (estremamente aderente alla capsula prostatica) o interfasciale (lievemente più distante dalla capsula prostatica ma sempre ponendo la massima attenzione per salvaguardare i nervi che avvolgono la prostata) e si procede nell’isolamento anterogrado della prostata.

L’isolamento della prostata viene eseguito ponendo massima attenzione nell’evitare l’uso di qualsiasi energia termica al fine di evitare danni al tessuto nervoso periprostatico. L’emostasi viene ottenuta con l’applicazione di microclip (2 mm) in titanio o con piccolissimi punti di sutura.

In alcuni pazienti nei quali il tumore prostatico dimostri pre- o intraoperatoriamente di coinvolgere anche la ricca ragnatela di nervi che avvolge la ghiandola prostatica, di necessità questa deve essere sacrificata in parte o totalmente per permettere la rimozione radicale del tumore e ridurre il rischio di margini positivi all’esame istologico. In questi casi la ripresa dell’erezione peniena può essere molto rallentata o può crearsi un danno permanente all’erezione.

La sezione del plesso venoso di Santorini e la sua successiva sutura emostatica con punti posti sotto visione diretta viene effettuata ponendo la massima attenzione alla preservazione della integrità dello sfintere uretrale esterno, muscolo principale responsabile della continenza urinaria.

Si seziona quindi l’uretra a livello dell’apice prostatico e a questo punto il pezzo operatorio prostatico, completamente liberato, viene estratto dall’addome attraverso una porta operativa. Quando necessario, viene eseguito un esame istologico intraoperatorio al congelatore per valutare la integrità dei margini chirurgici prostatici.

L’intervento procede con la accurata cura dell’emostasi: ogni eventuale piccola fonte di sanguinamento viene controllata sempre e per quanto possibile con mini clip e mini punti di sutura.

L’anastomosi uretro-vescicale viene eseguita con una sutura in continua che garantisce una tenuta eccellente e rapida ripresa della continenza urinaria. Si posiziona un catetere vescicale e viene eseguita prova di tenuta dell’anastomosi stessa.

Si posiziona nello scavo pelvico un piccolo tubo di drenaggio che permette il monitoraggio di eventuali perdite di sangue, di urine o di linfa.

La tecnica prevede la possibilità di preservare da un solo lato oppure bilateralmente i fasci neuro-vascolari che sono coinvolti nel meccanismo dell’erezione. La possibilità di preservarli dipende dalla situazione anatomica locale del paziente, dalla situazione oncologica, cioè dalla eventuale estensione della malattia della prostata, e da fattori anatomo-chirurgici, cioè dalla possibilità tecnica di realizzare un tale tipo di intervento.

Già a sei ore dalla fine dell’intervento il paziente può solitamente riprendere a bere e ad alimentarsi in modo progressivo. Il paziente viene fatto alzare da letto già in serata o in prima giornata postoperatoria  e, compatibilmente con la naturale ripresa delle sue energie, viene mobilizzato in misura sempre maggiore. È bene che il paziente, non appena si senta in grado, faccia passeggiate nel corridoio, favorendo la ripresa della normale circolazione, per evitare la formazione di trombi alle vene degli arti inferiori e per facilitare la ripresa della attività intestinale. Si consideri infatti che la ripresa della deambulazione rappresenta il migliore lassativo naturale.

Il catetere vescicale, che viene posizionato durante l’intervento, viene mantenuto in sede per un periodo di solito variabile da 10 a 15 giorni, a seconda delle condizioni locali intra-operatorie e del decorso post-operatorio. In rare occasioni può essere necessario mantenere il catetere vescicale in sede più a lungo, ma generalmente non oltre 3 settimane. 

Il paziente che viene dimesso dall’ospedale con drenaggio o catetere vescicale a dimora riceve un appuntamento per ritornare dopo alcuni giorni nei nostri ambulatori per rimuoverli.

Sulla base dell’esame istologico definitivo e del primo PSA eseguito tre mesi dopo l’intervento il paziente può essere tenuto sotto osservazione, perché si ritiene sia guarito con l’intervento chirurgico, oppure gli può essere suggerito un ciclo di radioterapia sulla loggia prostatica e i linfonodi. L’uso della radioterapia viene solitamente considerato nei pazienti con tumore prostatico esteso e molto aggressivo. Alcuni pazienti nei quali viene eseguita la radioterapia nel postoperatorio possono necessitare anche di un periodo di terapia farmacologica di deprivazione androgenica per aumentare l’efficacia delle radiazioni.

Nella maggior parte dei casi non è necessaria alcuna terapia immediatamente dopo l’intervento chirurgico e il follow-up si basa sulla valutazione dei valori di PSA, una molecola prodotta quasi esclusivamente dalla ghiandola prostatica e facilmente misurabile con un esame del sangue. Dopo la prostatectomia radicale, il PSA raggiunge tipicamente valori inferiori a 0.01 ng/ml. Questo è indice della completa rimozione del tessuto di origine prostatica. Tuttavia, la presenza di una malattia aggressiva e non confinata alla prostata può determinare il rialzo dei valori di PSA nel corso del follow-up.

Il riscontro di due o più valori consecutivi di PSA ≥0.2 ng/ml viene definito come recidiva biochimica. Mentre il 90% dei soggetti con bassi valori di PSA alla diagnosi e una malattia poco aggressiva è libero da recidiva a 5 anni, questa percentuale scende al 65% quando vengono considerati pazienti con elevati valori di PSA alla diagnosi (>20 ng/ml), una malattia aggressiva (grado di Gleason 8-10) o localmente avanzata. Questi risultati sono sovrapponibili se non superiori a quanto osservato con la terapia chirurgica a cielo aperto e in linea con quanto riportato dalle più numerose casistiche internazionali.

L’identificazione dei pazienti con recidiva biochimica è fondamentale per l’eventuale somministrazione di terapie di salvataggio quali la quali la radioterapia o terapie sistemiche volte a ridurre il rischio di recidiva a distanza. Queste terapie sono associate a eccellenti risultati a distanza. Ad esempio, la radioterapia è in grado di azzerare i valori di PSA in circa l’80% dei pazienti trattati precocemente dopo riscontro di recidiva biochimica.

Se si considerano tutti i pazienti operati, indipendentemente dall’operatore, la ripresa completa della continenza urinaria senza necessità di utilizzare pannolini si è osservata a 3, 6 e 12 mesi dopo l’intervento in circa il 60%, 80% e 95% dei pazienti. Queste percentuali dipendono in modo significativo da tre fattori:

  1. Chirurgo che esegue l’intervento;
  2. Età del paziente e condizioni fisiche generali (in particolare presenza o meno di disturbi urinari prima dell’intervento e livello di sovrappeso corporeo);
  3. Stadio di malattia prostatica.

La ripresa completa della erezione peniena nei pazienti con funzione sessuale perfetta prima dell’intervento si è osservata a 3, 6 e 12 mesi dopo l’intervento in circa il 30%, 50% e 70% dei pazienti. Queste percentuali dipendono in modo significativo da tre fattori:

  1. Chirurgo che esegue l’intervento;
  2. Età del paziente;
  3. Eventuali fattori di rischio per disfunzione erettile presenti prima dell’intervento (ad es. pressione alta, obesità, diabete mellito, fumo di sigaretta).

 

CONSIGLI ALLA DIMISSIONE

Alimentazione

  • Il paziente può riprendere la sua dieta abituale in modo graduale e progressivo;
  • Nel primo mese dopo l’intervento è importante bere almeno 1 litro e mezzo di acqua al giorno ed è accettabile un moderato consumo di alcolici;
  • Per riprendere la normale funzione intestinale è particolarmente importante variare la dieta arricchendola di frutta fresca tipo kiwi, frutta cotta e verdura (almeno due volte al giorno), al fine di evitare la stipsi. È molto utile bere 1 cucchiaio da cucina di olio extra vergine di oliva ai pasti principali. Come obiettivo il paziente dovrebbe cercare di andare di corpo una volta al giorno, al fine di evitare feci particolarmente dure che potrebbero causare difficoltà alla defecazione con conseguenti eccessive spinte addominali – potenzialmente nocive dopo un intervento a carico della prostata. Se ciò non dovesse succedere, il paziente potrà provare ad assumere olio di vaselina. È consigliabile non utilizzare clisteri o perette durante il primo mese successivo all’intervento chirurgico; infatti in questo periodo le pareti del retto sono molto sottili e pertanto potreste provocare dei danni.

Attività fisica

Dopo la dimissione dall’ospedale il paziente può riprendere gradatamente e con buon senso la sua attività fisica. Può passeggiare, salire e scendere dalle scale. La guida della macchina può generalmente essere ripresa 2 settimane dopo l’intervento.

Bisogna evitare sforzi eccessivi, come ad esempio sollevare oggetti pesanti o eseguire esercizi intensi (ginnastica, golf, tennis, corsa), nel corso delle prime 3 settimane che seguono l’intervento. È anche importante evitare l’uso della bicicletta o del motorino/motocicletta durante il medesimo periodo di tempo. Infatti, questo è il tempo necessario perché si sviluppi un adeguato tessuto cicatriziale nelle zone interessate dall’atto chirurgico. Se si intraprendono attività fisiche faticose prima del dovuto, si potrebbe ledere la delicata struttura che congiunge la vescica all’uretra; questo potrebbe comportare problemi a lungo termine legati alla continenza o addirittura causare un’ernia in sede di ferita.

Per le prime 4 settimane bisogna cercare di non rimanere seduto su una sedia rigida con lo schienale diritto per più di un’ora. Da preferire sedie comode con lo schienale più inclinato (per esempio sedie reclinabili, divani oppure poltrone con il poggiapiedi).

Questo comportamento è utile per 2 motivi:

  1. permette di sollevare le gambe, favorendo così il ritorno venoso al cuore (diminuendo il rischio di trombosi profonde, vedi sotto);
  2. permette di evitare di appoggiare tutto il peso su zone del perineo interessate dall’intervento (tra i testicoli e il retto).

Dopo 4 settimane dall’intervento, può riprendere tutte le attività  svolte prima dell’operazione.

Dolore addominale. Il dolore addominale è frequente ma di lieve intensità e presente soprattutto il giorno successivo all’intervento. È generalmente dovuto all’aria nell’intestino e/o alla ripresa della peristalsi (movimento) intestinale: passa velocemente con il ripristino della normale attività intestinale e perciò in questa fase gli analgesici sono inutili, se non controproducenti.

In rari casi, tipicamente nelle prime 24-48 ore dopo la rimozione del catetere vescicale, si può sviluppare un dolore addominale acuto localizzato in particolare al basso ventre e che tipicamente esordisce al termine della minzione. Spesso questo dolore così forte ed improvviso dipende da una incompleta tenuta dell’anastomosi uretro-vescicale con conseguente fuoriuscita di urina che irrita l’intestino e produce il dolore. Il dolore tipicamente passa riposizionando il catetere vescicale. 

La ferita. I punti delle piccole ferite cutanee sono possono essere riassorbibili o non riassorbibili (punti di sutura o clips metalliche). Nel primo caso non devono essere rimossi poiché vengono assorbiti dalla cute, nel secondo caso è prevista la rimozione a circa 2 settimane dall’intervento. La doccia può essere fatta in ogni caso a circa 15 giorni dall’intervento, previa rimozione degli eventuali punti non riassorbibili.

Una minima parte dei pazienti può sviluppare una infezione di ferita. Questa si manifesta con la fuoriuscita dalla ferita di materiale limpido (siero) oppure di sangue frammisto a pus. Un’adeguata medicazione della ferita e un’eventuale terapia antibiotica possono nella maggior parte dei casi risolvere la complicanza.

Trombosi venosa profonda. Durante le prime 4-6 settimane dall’intervento, è possibile che si manifesti in circa l’1% dei casi la trombosi venosa profonda a carico di un arto inferiore. La comparsa di trombosi venosa profonda può produrre dolore al polpaccio, gonfiore della caviglia o della gamba ed essere associata a un arto arrossato e più caldo del controlaterale. Talvolta può comparire febbre. Sebbene molto raramente, questi trombi possono distaccarsi e raggiungere il polmone causando una patologia molto grave che si chiama embolia polmonare. Questa si manifesta con dolore toracico (specialmente dopo un respiro profondo), mancanza di fiato, improvvisa comparsa di debolezza e senso di svenimento. È importante riconoscere subito questi segnali e recarsi accompagnato immediatamente in Pronto Soccorso. 

Infezioni delle vie urinarie. Possono capitare quando si è tenuto un catetere vescicale per alcuni giorni. Si possono manifestare in svariati modi (bruciore dopo la minzione, urine torbide e maleodoranti, febbre, brivido, etc.). In questi casi un esame completo delle urine e una urinocoltura con antibiogramma consentono di identificare il patogeno responsabile dell’infezione. La terapia consiste nell’utilizzo di antibiotici appropriati.

Sedimento nelle urine. Questo può manifestarsi a causa della fuoriuscita di vecchi coaguli che erano presenti in vescica. Le urine generalmente rimangono rosse o rosate per almeno 15-20 giorni dopo la rimozione del catetere. Una abbondante idratazione (bevendo almeno 1.5-2 litri di acqua al giorno) potrà aiutare a rendere le urine chiare.

Gonfiore. Lo scroto e il pene si gonfiano frequentemente poiché a questo livello si può raccogliere della linfa. Se questo dovesse accadere,è utile sollevare lo scroto stesso verso l’addome, ponendo al di sotto, tra le gambe, un asciugamano arrotolato. Generalmente il gonfiore ai genitali dura un mese e scompare spontaneamente. Una borsa del ghiaccio può talvolta alleviare il fastidio derivante da questo gonfiore. Se si gonfiano i piedi, gambe o cosce può essere presente una stasi linfatica (linfedema) o un blocco della circolazione venosa (trombosi venosa profonda, vedi sopra), motivo per cui questa complicanza necessita di un’adeguata diagnosi per stabilire il trattamento più idoneo.

Ematomi Cutanei. In alcuni casi si osservano ematomi cutanei, soprattutto ai fianchi ed ai genitali, dovuti alle procedure chirurgiche, o nelle sedi di iniezione sottocutanea dell’anticoagulante. Scompaiono da soli in circa 1 mese.

Rimozione del catetere vescicale. Il catetere viene generalmente rimosso da 10 a 15 giorni dopo l’intervento chirurgico. In rari casi può essere necessario mantenere il catetere in sede più a lungo. Generalmente il paziente viene dimesso con il catetere in sede. È importante mantenere il catetere sempre aperto, collegato con il sacchetto di raccolta delle urine e mai con il tappino.

Il paziente può utilizzare il sacchetto di raccolta che si aggancia al polpaccio oppure alla coscia quando desidera fare una passeggiata. Bisogna porre attenzione a non strattonare il catetere. Se questo dovesse succedere è probabile che le urine si arrossino o che esca sangue di fianco al catetere stesso. In questo caso bisogna bere molto al fine di schiarire le urine.

Il catetere vescicale è mantenuto in sede da un palloncino gonfiato in vescica. Molto raramente (1 caso su 200 pazienti) il catetere può dislocarsi accidentalmente a causa della rottura del palloncino. In questo caso è importante che si presenti presso il Pronto Soccorso più vicino poiché può essere necessario che un urologo posizioni un nuovo catetere vescicale.

La ripresa della continenza urinaria dopo la rimozione del catetere vescicale avviene gradualmente e in modo progressivo.

L’asportazione di tutta la ghiandola prostatica è seguita dalla successiva ricostruzione del tratto urinario mediante anastomosi tra vescica e segmento uretrale residuo: questo garantisce ovviamente l’integrità del canale che convoglia l’urina all’esterno, ma non consente un adeguato compenso alla perdita del meccanismo di chiusura garantito dallo sfintere che viene in gran parte forzatamente coinvolto nella rimozione chirurgica dando luogo in alcuni casi alle perdite in controllare di urina.

Le strutture anatomiche che solitamente non vengono coinvolte – a meno di essere stati sottoposti a radioterapia – sono i muscoli del perineo (che spesso viene denominato “pavimento pelvico” proprio perché chiude in basso la cavità addominale) e che è la zona muscolare, a forma di losanga che viene appoggiata sulla sella quando si va in bicicletta e che fa da sostegno alla vescica e all’ultima porzione dell’uretra.

Quindi, dopo l’intervento, la continenza è determinata soltanto dalla funzione dello sfintere esterno con il supporto dei muscoli del piano perineale.

Il trattamento riabilitativo ha come obiettivo il potenziamento dei muscoli del piano perineale, il miglioramento della loro forza e della  loro “tenuta” costante nel corso di tutta la giornata, in rapporto alla respirazione ed agli aumenti della pressione intraddominale, cosa che si verifica in caso di colpo di tosse, dell’alzarsi da una sedia, del sollevare un peso.

Vi sono evidenze scientifiche che suggeriscono come questi esercizi possano contribuire alla prevenzione ed al trattamento delle eventuali problematiche urinarie e sessuali con l’obiettivo di una positiva ripercussione sulla qualità di vita. 

La riabilitazione post-operatoria si articola quindi, in funzione delle problematiche presenti, nell’utilizzo di diverse tecniche:

  • l’educazione minzionale, unitamente alla condivisione di suggerimenti relativi allo stile di vita e sulla modalità e quantità di assunzione delle bevande
  • la chinesiterapia per il rinforzo della muscolatura perineale, integra, concentrandosi in particolare sulla muscolatura anteriore (quella che circonda l’uretra, non la muscolatura dell’ano, posteriore e sostanzialmente inutile ai fini del bloccare il flusso di urina); in funzione del recupero ottenuto gli esercizi possono diventare sempre più impegnativi, sino ad essere eseguiti con la tecnica del Biofeedback telemetrico (con sonda manometrica anale) durante l’esecuzione di attività fisica più impegnative (salti e corsa sul posto)
  • in particolari situazioni si ricorre alla stimolazione elettrica funzionale, che ha come obiettivo non solo il rinforzo della muscolatura, ma la presa di coscienza del piano perineale e la possibile azione di inibizione sulla contrazione e lo svuotamento della vescica. Oltre alla tecnica usuale che prevede l’utilizzo di sonde anali con elettrodi ad anello, viene utilizzata preferenzialmente la più recente tecnica SANS, che prevede la stimolazione del nervo tibiale posteriore all’arto inferiore in caso di incontinenza da urgenza

 Un trattamento medico farmacologico personalizzato può contribuire ad affrontare le problematiche post-intervento e a migliorare la qualità di vita nei primi mesi dopo l’intervento, accelerando la ripresa della funzionalità vescicale.

Si consiglia di utilizzare dispositivi assorbenti fino alla ripresa di un’adeguata continenza urinaria.

Il requisito fondamentale per il ritorno di erezioni spontanee è la conservazione, durante l’intervento, dei nervi deputati al meccanismo della erezione.

il ritorno della funzione sessuale dipende quindi dall’età, dalla potenza sessuale preoperatoria e dall’estensione del tumore che è il parametro chiave nel determinare la tecnica chirurgica.

Dopo l’intervento riprenderanno per prime le erezioni erotiche, cioè quelle stimolate da un adeguato eccitamento sessuale, solo in seguito le erezioni “psicogene” o “notturne” che ogni uomo è abituato normalmente a vedere: queste possono necessitare anche 2 anni per ricomparire.

È quindi importante che il paziente si “eserciti” con la sua attività sessuale che deve essere considerata come una vera e propria ginnastica riabilitativa. Il primo segno favorevole durante l’attività sessuale è vedere un allungamento ed ingrossamento del pene nel momento del massimo eccitamento, anche in assenza di rigidità. Nei primi mesi dopo l’intervento il sesso è tipicamente non penetrativo ma tutti i pazienti riescono comunque ad arrivare all’orgasmo. Si ricorda che la rimozione della prostata comporta la scomparsa della eiaculazione e che quindi dopo l’intervento chirurgico il paziente diventa sterile. Se il paziente è interessato ad avere figli dopo l’intervento chirurgico è importante che venga eseguita la crioconservazione del seme prima dell’ingresso in ospedale, così da potere procedere in seguito ad eventuale fecondazione assistita.

Alcuni consigli pratici per riprendere in fretta e bene l’attività sessuale:

  1. La lubrificazione del pene e della vagina prima del rapporto con qualsiasi gel od olio a base di vaselina aiuta molto (tipo olio Johnson and Johnson)
  2. La posizione in ginocchio o eretta durante il rapporto migliora le erezioni
  3. Una volta ottenuta la erezione può mettere alla base del pene un normale elastico che facilita l’intrappolamento del sangue all’interno del pene.
  4. Non aspetti “la perfetta erezione” prima di avere un rapporto sessuale. Provi ad avere un rapporto anche se la erezione è parziale. La attività sessuale facilita la ripresa delle proprie capacità.
  5. È importante prendere atto che inizialmente il sesso non è di tipo penetrativo poiché la rigidità peniena necessaria ritorna in qualche mese. Nel primo periodo dopo l’intervento il sesso è quindi masturbatorio, ma ugualmente piacevole. È importante praticare la masturbazione di frequente (almeno 3 volte alla settimana) perché questa rappresenta la forma più efficace di ginnastica riabilitativa del pene
  6. All’orgasmo non seguirà l’emissione di liquido seminale, in quanto durante l’intervento sono state rimosse le vescicole seminali e la prostata. Si è quindi creata una condizione di sterilità permanente.
  7. È sempre utile vuotare completamente la vescica prima di ogni atto sessuale per evitare il fenomeno della incontinenza urinaria al momento dell’orgasmo.

Il raggiungimento e il mantenimento dell’erezione possono essere facilitati o ottenuti dall’utilizzo di farmaci che migliorano la circolazione del sangue all’interno del pene o di micro-iniezioni che favoriscono l’afflusso di sangue al pene. Il vacuum device può inoltre contribuire a ottenere una ripresa precoce dell’erezione e a evitare il possibile accorciamento del pene.

Per la gestione dell’eventuale disfunzione erettile post-intervento il paziente può rivolgersi all’Urologo di riferimento.

Per approfondimenti

La riabilitazione dopo l’intervento di prostatectomia radicale

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    Dr. Andrea Cocci

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    La scelta di dedicare la mia vita professionale all’urologia ed in particolare alla chirurgia andrologica e ricostruttiva è frutto di una profonda passione per l’anatomia, l’arte chirurgica ed in generale il processo diagnostico terapeutico che porta alla guarigione del paziente. Patologia oncologica, infertilità, disfunzione erettile, malattie del pene o semplicemente disturbi prostatici affliggono irrimediabilmente non solo l’individuo ma anche la dimensione di coppia.

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    Dr. Andrea Cocci
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    Ho piena convinzione che ascoltare il paziente, carpirne i bisogni, valutarne le aspettative sia l’unico modo di instaurare un programma terapeutico di successo e soddisfazione sia per il medico che per il paziente.